giovedì 30 aprile 2009

"This is the One"


Chiedere la band preferita ad un appassionato di musica, è come chiederne l’età. Se risponde gli Smiths, allora è nato dopo il 1964 ma prima del 69; se risponde i Pearl Jam, allora è nato tra il 74 e il 79; se invece sono gli Arctic Monkeys, allora è nato tra l’87 e il 92.

La musica pop è diversa da ogni altra forma d’arte, anche dalla musica “colta”, per la vocazione generazionale dei suoi stili e dei suoi artisti. Le preferenze musicali di una persona tendono a formarsi nella tarda adolescenza, tra i 15 e i 20 anni. In questo stesso periodo di solito emergono tre-quattro musicisti che con le loro canzoni e i loro atteggiamenti determinano i gusti musicali del tempo. Tra questi artisti un ragazzo identifica i suoi preferiti, quelli che più l’aiutano a definire la sua identità. Da adulto scoprirà altri musicisti, si aprirà ad altri generi musicali, ma tutto verrà misurato sul metro delle grandi band seguite da ragazzo.

La mia personale epifania musicale arrivò nell’89, quando ascoltai una canzone di un gruppo di Manchester, the Stone Roses. Si intitolava “Fool’s Gold” ed era diversa da qualsiasi cosa avessi sentito fino ad allora. A renderla unica era la capacità di unire in sé le due culture dominanti del pop, quella che andava ai concerti per ascoltare il rock e quella che andava nei club per ascoltare i dj. Da ragazzino ero attratto da entrambi questi mondi, senza preferire definitivamente uno dei due. Fui dunque attratto dal tentativo degli Stone Roses di tracciare una terza via e li elessi a mio gruppo preferito.

Erano una miscela di talenti straordinari: il batterista Reni era una drum-machine umana, una sorgente inesauribile di groove che impediva all’ascoltatore di rimanere fermo; il chitarrista John Squire era l’anima rock del gruppo, non suonava per accordi ma per assoli, spesso tracciando una linea melodica alternativa al cantato; il bassista Mani oscillava tra la batteria di Reni e le chitarre Squire, spostando l’equilibrio delle canzoni ora sul versante rock, ora su quello dance; il cantante Ian Brawn, con i suoi testi evocativi e la sua voce indolente aggiungeva infine un tocco onirico, diciamo pure fatto, alle loro canzoni.

Non era solo il talento a rendere gli Stone Roses unici: era anche la loro sfrontatezza nei confronti media; la loro ambiguità verso le nuove droghe chimiche; il rigore formale delle copertine dei loro singoli. La sintonia degli Stone Roses con una gioventù ansiosa di sbarazzarsi degli anni ’80 era totale: per dirla con una loro canzone, “Kiss me where the sun don’t shine / The past was yours / But the future’s mine”.

L’atto di fondazione della musica inglese anni 90 fu l’uscita del loro primo album. Vent'anni dopo la sua pubblicazione, l’album eponimo degli Stone Roses è ancora considerato uno dei migliori dischi inglesi di sempre. Il Brit Pop anni 90 (Blur, Suede, Oasis) trova la sua origine in questa raccolta di canzoni e anche la musica elettronica vicina alla scena rave (Chemical Brothers, Prodigy) ne sarà influenzata.

Il disco era pubblicato su una piccola etichetta indipendente – la Silvertone – ma alle grandi case discografiche non sfuggì che gli Stone Roses riuscirono a vendere 300.000 copie anche negli Stati Uniti, senza neanche metterci piede. La Geffen propose agli Stone Roses un contratto discografico che riservava loro un trattamento economico da vere rockstar - quali loro si ritenevano. Senza indugiare in approfondimenti legali, la band si impegnò a pubblicare i prossimi 5 album con la Geffen, a fronte di un anticipo di $20m.

Ma nei successivi 5 anni non pubblicarono neanche una canzone. La loro vecchia casa li aveva denunciati, impedendogli di registrare nuovi pezzi. Uscirono con il loro secondo - e ultimo - disco solo nel 95. Era scritto quasi interamente dal chitarrista Squire e si sentiva: un rock grezzo e desolato dominava l'intera raccolta, rompendo l'equilibrio tra stili delle loro prime canzoni. Fu un disastro commerciale. La loro finestra generazionale si era definitivamente chiusa, i loro vecchi fan li avevano ormai dimenticati, i ragazzi più giovani non li avevano mai conosciuti. Gli Stone Roses erano diventati culturalmente irrilevanti. La band si sciolse a pochi mesi dall’uscita del disco: il cantante Brown avviò una mediocre carriera solista mentre il chitarrista Squire – già autore delle copertine di tutti i loro dischi – si dedicò totalmente alla pittura.

In sette anni di carriera avevano pubblicato in tutto una dozzina di grandi canzoni – concentrate nei 12-18 mesi tra i primi singoli e il loro album di esordio. Ascoltarli in quel breve periodo significava sentirsi parte di un grande rinnovamento musicale e non solo. Il mondo nell’89 stava cambiavano, se la rivoluzione fasulla del 68 aveva avuto Sgt. Pepper come colonna sonora, le rivoluzioni vere dell’89 si meritavano anche di meglio – e gli Stone Roses sembravano gli eletti, gli unici musicisti in grado di cogliere lo spirito del loro tempo e metterlo in musica.

Non fu così – e tutto quello che sarebbe poi accaduto era già evidente nella loro prima, leggendaria apparizione televisiva dell’89. Squire arpeggia l'apertura di "Made of Stone", Reni spalma i suoi loop sulla batteria, Brown sta per arrivare al ritornello – quando un’improvvisa interruzione dell’elettricità impedisce loro di completare la canzone. A Ian Brown non resta che imprecare contro i tecnici dello studio per non aver permesso alla band di esprimersi.

Una decina di anni dopo la loro infelice comparsa televisiva mi trovavo in un aeroporto, ingannando l’attesa per l’imbarco in un edicola. Mi imbattei in una rivista inglese, mi pareva fosse Face, credo ormai sparita pure quella. Sulla copertina c’era un adulto, con in braccio un bimbo e sopra di loro un titolo: “Dad, who were the Stone Roses?”. Quello fu il primo giorno della mia vita in cui mi sentii vecchio.

3 commenti:

  1. Quando era uscito “the Queen is dead” non avevo neanche 10 anni, eppure gli Smiths sono il mio gruppo preferito. Come me lo spieghi? Roby

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  2. MC582:

    Uhm... adoro gli Arctic Monkeys ma sono nata circa 20 anni prima del periodo che dici tu. Quando avevo tra i 15-20 anni non avevo alcun gusto musicale definito, per cui trovo difficile pensare che quella sia l'eta' cruciale per sviluppare la propria maturita' musicale.

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  3. MC582: ci sono band che colpiscono anche quando si e' adulti. Non avere trovato dei musicisti di riferimento nel passato ci rende forse piu' ricettivi verso i musicisti del presente.

    Roby: da consumata fan degli Smiths, dovresti sapere che "Some girls are bigger than others".

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