lunedì 25 maggio 2009

Titoli


Ci sono band che affascinano per le loro canzoni (Libertines), altre per personaggi e storie (Joy Division), altre ancora per l'impatto sulla cultura del loro tempo (Stone Roses). I Ramones erano tutto questo.

Le loro canzoni: fragorosi inni sotto i tre minuti di durata e sotto i tre accordi di chitarra.

I membri della band: stesso cognome fasullo (Ramone, malgrado l'assenza di qualsiasi parentela), stessa divisa minimal (skinny jeans, giacca in pelle) ma poco altro in comune (cantante ebreo e chitarrista dichiaratamente antisemita).

Impatto culturale: responsabili della fondazione del punk, della liberazione del pianeta dalla musica progressive e del ritorno del rock all’immediatezza espressiva delle origini.

Ma la cosa che più mi diverte dei Ramones sono i titoli delle loro canzoni, soprattutto quelle dei loro primi dischi. Alcuni dei loro titoli sono tanto dementi da sconfinare nel geniale.

Si inizia con qualche torbida avventura: prima con Suzy (“Suzy is a Headbanger”), poi con Judy (“Judy is a Punk”). Finalmente si trova l’anima gemella (“Sheena is a Punk Rocker”), che cade però vittima di un increscioso incidente (“The KKK Took My Baby Away”).

Per alleviare le sofferenze d’amore, si cerca conforto negli stupefacenti: i primi ingenui trastulli (“Now I Wanna Smell Some Glue”) rapidamente degenerano in dipendenze più gravi (“I Wanna Be Sedated”) fino a diventare comportamenti patologici (“Gimme Gimme Shock Treatment”) cui è possibile porre rimedio solo con interventi invasivi (“Teenage Lobotomy”).

Il lobotomizzato non ha più pieno controllo delle proprie azioni (“Cretin Hop”) e subisce spesso delle reprimende (“You Should Never Have Opened That Door”). Cerca di addurre qualche scusa puerile (“Sobody Put Something in My Drink”) per evitare punizioni severe (“I Don't Wanna Go down to the Basement”), che gli sono comunque inflitte (“Beat on the Brat”).

E pensare che, se non avessero perduto l'amore, i Ramones avrebbero conquistato il mondo (“Today Your Love, Tomorrow the World”), prima lanciando qualche missile (“Rocket to Russia”) e poi con una rapida offensiva di terra (“Blitzkrieg Bop”).

Il quadro clinico che emerge da questi titoli è quello di una band incapace di prendersi sul serio. Con i loro testi socialmente irresponsabili rifiutano qualsiasi impegno, con la semplicità della loro musica rinunciano a qualsiasi ambizione artistica.

I Ramones irridono la pretesa che il rock possa avere un ruolo sociale o delle velleità estetiche – spogliano anzi il rock di ogni presunzione culturale, degradandolo a musica fondamentalmente per idioti. E proprio liberando il rock dalle sue ansie di accettazione borghese, i Ramones danno paradossalmente origine al movimento musicale più politicizzato ed esteticamente consapevole di sempre – il punk.

lunedì 18 maggio 2009

Anniversari


Il 18 maggio del 1980 Ian Curtis – cantante dei Joy Division – guardò un film di Herzog in TV, ascoltò qualche canzone di Iggy Pop sul giradischi e s’impiccò in cucina. Aveva 23 anni.

Il giorno prima aveva cercato, inutilmente, di convincere la moglie Debbie a fermare le procedure di divorzio. Il giorno dopo sarebbe dovuto partire per il primo tour dei Joy Division negli Stati Uniti. Matrimonio e concerti: questi erano i crucci di Ian Curtis in quei giorni.

Ian e Debbie erano compagni di scuola, si sposarono a 18 anni, non c’erano gravidanze cui porre rimedio, era amore puro. Tra i due si mise in mezzo Annik, una ragazza che partecipò ad un concerto dei Joy Division a Bruxelles e che li seguì nelle altre tappe del loro tour europeo. Ian fu sedotto dai suoi profondi occhi neri, dal suo accento francese, dal suo talento per la fotografia e amò anche lei. La moglie Debbie chiese il divorzio.

L’altra preoccupazione erano i concerti. Mentre su vinile Ian cantava con voce profonda e composta, dal vivo spesso emetteva delle grida animali per poi accasciarsi sul palco, con i compagni di band che gareggiavano per frenarne le incaute cadute. Non erano atteggiamenti da rockstar, Ian non fingeva. Una luce strobo troppo intensa, una combinazione insolita di suoni, un gesto inatteso dal pubblico: tutto poteva contribuire a farlo cadere in una crisi epilettica. Concerto dopo concerto, le crisi diventavano sempre più dolorose e frequenti e Ian sapeva che presto avrebbe dovuto lasciare la band. Fece dunque un patto con i suoi compagni: se qualcuno avesse abbandonato il gruppo, gli altri sarebbero andati avanti ma sotto un nuovo nome.

Al momento della scomparsa di Ian, i Joy Division avevano pubblicato qualche singolo e un solo album. Malgrado il favore della critica, non raggiunsero mai il successo commerciale. L'edizione originale del loro album di esordio, "Unknown Pleasures", vendette 10.000 copie - complice un'etichetta discografica che non aveva sufficienti risorse per stampare un numero adeguato di dischi. Anche la misteriosa copertina del disco forse non aiutò: senza titolo, senza nome della band, un fondo totalmente nero graffiato solo dalla rappresentazione grafica delle radiazioni di una stella morente. Il secondo album - "Closer", registrato poco prima la scomparsa di Ian e pubblicato postumo - fu il tredicesimo disco più venduto in UK nella settimana d'uscita, per poi sparire da ogni classifica di vendita. Eppure questi due dischi raccolgono la migliore musica inglese prodotta a cavallo degli anni 70 e 80. La loro eco si è espansa nei decenni successivi e se gruppi come gli Interpol, gli Editors e, in una certa misura, anche i Killers e i Baustelle sono considerati tra le band di riferimento degli anni 2000, lo sono soprattutto perché ripropongono suoni e temi fondati dai Joy Division.

Il suono dei Joy Division sembra provenire da una spazio asettico, sterilizzato, vagamente inumano. Non c'e' commistione tra strumenti, le loro tracce sonore sono totalmente isolate come per preservare la purezza della composizione. Il suono della chitarra è freddo, affilato, preciso; il più austero tra gli strumenti, il basso, guida le melodie; lo strumento invece più sguaiato, la batteria, è mortificato in ritmiche geometriche. E poi c'è la voce di Ian: naturalmente baritonale, resa ancora più profonda dagli echi di studio, sembra provenire dal pulpito di un'immensa cattedrale gotica.

I testi di Ian evocano periferie eternamente battute dalla pioggia, esaminano i danni del trascorrere del tempo, ma soprattutto rivelano l'evoluzione dell'equilibrio mentale del cantante - irrimediabilmente alterato già ai tempi delle registrazioni di Closer. Annik, ascoltando gli inquietanti testi dell'album, sospettò il peggio e cercò di allertare gli altri Joy Division. Ma Ian la sua scelta l'aveva forse già fatta e il giorno più appropriato per metterla in pratica era proprio il 18 maggio - tra un tentativo fallito di ricomporre il matrimonio e la partenza per un tour che avrebbe causato inenarrabili sofferenze fisiche. Alla moglie Debbie lasciò un messaggio, chiedendone il perdono; ai fan dei Joy Division, lasciò invece "The Eternal", una delle canzoni che chiude "Closer":

Procession moves on, the shouting is over,
Praise to the glory of loved ones now gone.
Talking aloud as they sit round their tables,
Scattering flowers washed down by the rain.

Stood by the gate at the foot of the garden,
Watching them pass like clouds in the sky,
Try to cry out in the heat of the moment,
Possessed by a fury that burns from inside.

I compagni di band seppero del suicidio quando già erano all'aeroporto di Manchester, in partenza per la prima data del loro tour americano. Decisero di non imbarcarsi: i Joy Division non suonarono mai negli Stati Uniti e non avrebbero più suonato in nessun altro paese. Per comprendere l’entità della ricchezza musicale perduta, basta considerare quanto realizzarono gli altri membri dei Joy Division, anche senza il loro compagno più carismatico.

Continuarono a fare musica insieme e, come promesso a Ian, adottarono un nuovo nome, New Order. E un Nuovo Ordine fu, radicalmente diverso dal precedente: sostituirono il rock cupo dei Joy Division con un electropop a volte persino solare, diventando una delle band inglesi più popolari ed influenti degli anni 80. Ma non erano solo i tempi a determinare una svolta verso suoni e temi più leggeri; forse c’era anche la volontà di confortare con una musica più luminosa l’anima tormentata del ragazzo che li aveva abbandonati.