“Penso che ormai il pubblico si sia accorto che non c'è differenza tra major e indipendente. Sono cose, secondo me, molto vicine ad un retaggio di sinistra un po' partitico: l'idea dell'impegno, fatto alla vecchia, quindi noioso, pedante, da cineforum polacco…”
Federico Dragogna dei Ministri, intervista a Rockit
I Ministri sono tra i pochi gruppi italiani che si sono assunti l’onere di descrivere la deriva sociale ed economica del paese. Con il loro rock grezzo, testi militanti, disprezzo orgoglioso delle scene musicali più modaiole, i Ministri attirano naturalmente un pubblico di ascoltatori intransigenti, spesso vicino ai centri sociali.
E a questo pubblico non sembra andare giù che i Ministri – a soli due anni dall’esordio “I Soldi Sono Finiti” su etichetta indipendente – abbiano da poco pubblicato il loro secondo album “Tempi Bui” per la major Universal. Il gruppo rilascia interviste a televisioni musicali, le loro musica è arrivata sulle grandi radio commerciali. Dopo aver urlato contro il sistema, i Ministri sembrano dunque esserne diventati parte.
Si può discutere sul valore artistico di “Tempi Bui”. Non è un capolavoro, la qualità dei pezzi è scostante, manca la rabbia e l’urgenza degli esordi. Ma come ritratto rock dell’Italia 2009 circa, “Tempi Bui” non ha rivali. Non ha senso sminuirne la rilevanza perché viene distribuito dalla stessa casa discografica di Marco Masini. Chi crede che i Ministri – cercando di raggiungere un pubblico più vasto – abbiano contaminato l’integrità del loro messaggio, vorrebbe segregare la buona musica in un ghetto, da dove compiacersi della superiorità dei propri gusti musicali rispetto a quelli delle masse.
Un contratto discografico decente ha messo a disposizione dei Ministri i mezzi per superare i limiti espressivi del loro primo album e ha permesso al grande pubblico di conoscere una delle band italiane più promettenti degli ultimi anni. E poi, cosa può esserci di più eversivo che far atterrare sull’autoradio di una mamma, mentre porta i bimbi a scuola sul suo SUV, un pezzo come questo? La speranza è di vedere presto i Ministri a San Remo.
Federico Dragogna dei Ministri, intervista a Rockit
I Ministri sono tra i pochi gruppi italiani che si sono assunti l’onere di descrivere la deriva sociale ed economica del paese. Con il loro rock grezzo, testi militanti, disprezzo orgoglioso delle scene musicali più modaiole, i Ministri attirano naturalmente un pubblico di ascoltatori intransigenti, spesso vicino ai centri sociali.
E a questo pubblico non sembra andare giù che i Ministri – a soli due anni dall’esordio “I Soldi Sono Finiti” su etichetta indipendente – abbiano da poco pubblicato il loro secondo album “Tempi Bui” per la major Universal. Il gruppo rilascia interviste a televisioni musicali, le loro musica è arrivata sulle grandi radio commerciali. Dopo aver urlato contro il sistema, i Ministri sembrano dunque esserne diventati parte.
Si può discutere sul valore artistico di “Tempi Bui”. Non è un capolavoro, la qualità dei pezzi è scostante, manca la rabbia e l’urgenza degli esordi. Ma come ritratto rock dell’Italia 2009 circa, “Tempi Bui” non ha rivali. Non ha senso sminuirne la rilevanza perché viene distribuito dalla stessa casa discografica di Marco Masini. Chi crede che i Ministri – cercando di raggiungere un pubblico più vasto – abbiano contaminato l’integrità del loro messaggio, vorrebbe segregare la buona musica in un ghetto, da dove compiacersi della superiorità dei propri gusti musicali rispetto a quelli delle masse.
Un contratto discografico decente ha messo a disposizione dei Ministri i mezzi per superare i limiti espressivi del loro primo album e ha permesso al grande pubblico di conoscere una delle band italiane più promettenti degli ultimi anni. E poi, cosa può esserci di più eversivo che far atterrare sull’autoradio di una mamma, mentre porta i bimbi a scuola sul suo SUV, un pezzo come questo? La speranza è di vedere presto i Ministri a San Remo.