venerdì 10 aprile 2009

“Equally Cursed & Blessed”


Il calciatore nord irlandese George Best ha sempre occupato un posto privilegiato nell’immaginario rock britannico, e non solo per aver dato il titolo all’album di esordio dei Wedding Present ed essere stato omaggiato con un ritratto sulla copertina di “Definitely Maybe” degli Oasis.

Per dirla con il titolo di un disco ormai dimenticato, Best rappresenta l’archetipo dell’artista “Equally Cursed & Blessed”, il talento soprannaturale che in una scellerata corsa all’eccesso brucia il proprio potenziale ancora prima di esprimerlo pienamente.

Pur essendo considerato uno dei migliori calciatori di sempre, Best vanta un palmares piuttosto esiguo, interamente raccolto con un’unica squadra, il Manchester United. A sua parziale difesa c’è da dire che neanche Pelè sarebbe riuscito a vincere i Mondiali nella nazionale dell’Ulster. Ma la carriera sportiva di Best è pervasa da un senso di incompiutezza. A soli 20 anni, conducendo il Manchester alla vittoria in Champions League e conquistando il Pallone d’Oro, Best dimostra di essere il talento calcistico più promettente della sua generazione.

Lo stile di vita da rockstar, pur guadagnandogli l’appellativo di “Quinto Beatle”, diventa comunque inconciliabile con la disciplina dello sport. Dovendo scegliere tra il pallone e la bottiglia, Best non ha dubbi e a 27 anni abbandona il Manchester e, in sostanza, il calcio professionistico. Le maggiori soddisfazioni fuori dal campo arriveranno dai 3 figli, avuti da 3 donne diverse, dall’alcol, che gli distruggerà 2 fegati, e dall’intitolazione postuma del prestigioso "George Best Belfast City Airport". Ma il successo più duraturo per Best sarà la sua canonizzazione a santo patrono del rock britannico. In questa veste Best diventa la figura di riferimento per tutti quei musicisti incapaci di conciliare la loro musa con la disciplina mentale e l’astuzia commerciale richieste dal successo.

Il passato del rock britannico è disseminato di figure che hanno “george-bested it”: artisti geniali che avrebbero sbaragliato con disinvoltura ogni competizione se solo non si fossero smarriti nelle droghe pesanti, nelle postille dei contratti discografici, nelle pieghe di personalità troppo fragili. Il loro ricordo ancora infiamma comunità di fan, custodi di un universo parallelo dove l’oggetto del loro culto – non più vittima di un destino cinico e baro – rivaleggia con i Beatles in grandezza assoluta, così come Best eclissa Maradona in un mondo dove non esistono superalcolici.

Nei prossimi post racconterò di tre band inglesi che, come George Best, non sono riuscite realizzare le attese alimentate dai loro straordinari esordi:

2001-2004: The Libertines

1988-1995: The Stone Roses

1978-1980: Joy Division

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